Il secondo appuntamento è con lo sciamano che predisse la morte di Andrea. E’ una soleggiata domenica di agosto, il fuoristrada di Noy sobbalza sul terreno sconnesso che conduce al suo barn, un groviglio di villette sgraziate a nove chilometri dalla città. Fuori dal cancello della casa del veggente non c’è anima viva, nell’androne di casa alcuni familiari spaparanzati su una stuoia intrattengono alcuni chiassosi bambini. Un’anziana donna siede sullo stipite della porta di uno stanzino sulla destra, con lo sguardo rivolto verso un baldacchino avvolto in una tenda blu. Lo sciamano è lì dietro, nessuno può vedere il suo viso né cosa faccia mentre scruta nel futuro altrui. Io parlo a Noy, lei comunica con la donna che riferisce all’uomo, il contatto verbale diretto non è consentito. Fuori dalla stanza due grossi cesti di vimini colmi di uova: doni? Nient’affatto, servono per togliere il malocchio, ma secondo l’uomo io non ne ho bisogno. Così sentenzia dopo aver esaminato un piatto contenente boccioli di frangipane e candele che Noy aveva preparato per leggerci dentro il mio destino. L’unica cosa che lo sciamano consiglia è un baa sii, un comune rito propiziatorio che qualsiasi monaco è in grado di fare.
Al tempio di Saphanthong Neua ci lavora un monaco che parlocchia inglese; è giovane e muscoloso, con un paio di occhiali dalla montatura spessa. E’ originario di Pakse, una provincia del Laos meridionale. Il rito prevede lo strofinamento di un braccialetto di cotone sul dorso della mano sinistra, con un movimento lineare dal polso verso le dita, mentre il monaco ordina agli spiriti cattivi di lasciare il mio corpo; poi ripete la stessa cosa con il palmo rivolto verso l’alto, con movimenti dalle dita verso il polso, così da guidare gli spiriti buoni verso di me. L’ho visto fare decine di volte.
Terminato il rito torno a casa con un po’ di speranza in più e una vaga sensazione di aver perso tempo.
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La mia prima volta dallo sciamano [prima parte] – Mauro in AsiaPosted on10:46 am - Ott 27, 2018
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